
di Ignazio Salvatore Basile
17 Agosto 2025
del Sito Web
Meer

Il voto in Italia,
pilastro della democrazia,
è spesso segnato da
astensionismo, frammentazione politica
e difficoltà
nel garantire stabilità governativa,
riflettendo le sfide
di un sistema rappresentativo complesso
Da tempo in Italia si dibatte l'esigenza di grandi riforme, anche a
livello costituzionale.
Secondo molti osservatori la nostra Costituzione
avrebbe bisogno di significative modifiche, soprattutto, aggiungono
i più cauti, nella seconda parte.
È stato evidenziato da molti osservatori, anche europei ed
extracomunitari, come il sistema italiano soffra di parecchie
limitazioni e difficoltà di funzionamento, in particolare sul piano
istituzionale.
Da molte parti il responsabile principale dei
problemi di inefficienza di cui soffre l'Italia, è stato
identificato nel bicameralismo perfetto del nostro Parlamento.
La competenza nella formazione delle leggi, uguale e ripetitiva
nelle singole materie, che impone la restituzione degli atti alla
precedente Camera, anche nell'ipotesi in cui la seconda abbia
apportato la sia pur minima modifica alla proposta di legge o al
disegno di legge in discussione, viene considerata un eccesso di
formalismo.
In realtà le difficoltà di funzionamento e l'inefficienza di cui ha
sofferto
l'Italia in questi ultimi venti
anni, sembra da attribuirsi piuttosto alla diversità dei sistemi
elettorali della Camera e del Senato che, non consentendo il
formarsi di maggioranze omogenee, ha creato di fatto i noti problemi
di ingovernabilità.
Per capire meglio il problema occorre ricordare
al nostro lettore che mentre il Senato viene eletto su base
regionale, la camera dei deputati viene eletta su base nazionale
(artt. 56 e 57 della Costituzione).
Anche se a parere di chi scrive il fulcro del problema sta nella
inadeguatezza della classe politica e dei partiti che hanno occupato
la scena politica italiana dell'ultimo ventennio, sarà comunque
utile e necessario, per orientarci nelle complesse tematiche delle
riforme istituzionali, capire meglio il vecchio sistema che si vuole
"rottamare" e quello nuovo con cui lo si intenderebbe sostituire.
Appare intuitivo, a prima vista, lo stretto legame esistente tra
la democrazia e il sistema
elettorale.
La democrazia "ideale" sarebbe quella originaria,
di derivazione greca:
la gente, il popolo, gli elettori, vengono
convocati in piazza e lì esprimono la loro volontà sui diversi
temi proposti alla loro attenzione dai responsabili della
gestione della cosa pubblica.
Purtroppo questo metodo non è praticabile nelle
società complesse e assai popolose come sono le democrazie attuali.
Da questa complessità nasce l'esigenza di creare
degli strumenti per la realizzazione della democrazia.
Il metodo più diffuso per la gestione della
democrazia risiede nello strumento elettorale:
gli elettorali scelgono i rappresentanti che
siederanno negli scranni del potere e attraverso di loro
gestiranno il potere.
Ma come si scelgono questi rappresentanti?
La risposta sembra scontata, al punto da fare apparire banale la
stessa domanda.
Viene infatti naturale rispondere:
basta andare a votare e scegliere il proprio
candidato preferito.
I più votati saranno gli eletti, cioè i
prescelti a governare.
Forse la domanda più corretta, per fare
comprendere la complessità del fenomeno a chi non abbia con esso
sufficiente dimestichezza, va disarticolata in maggiore dettaglio:
ma chi può votare?
Cioè come si identifica l'elettorato attivo,
gli aventi diritto ad esprimere il voto?
E come si seleziona l'elettorato passivo,
cioè le persone da eleggere?
E come si traducono i voti in seggi?
In altri termini: come verranno assegnati i
posti disponibili (seggi) nell'organo della rappresentanza?
In base a quale conteggio?
Quanto più efficace e preciso sarà il meccanismo
elettorale, tanto più sarà centrato il risultato di realizzare
l'obiettivo della democrazia.
C'è una branca della politologia che si occupa di questi temi
complessi.
In questi brevi appunti limiterò quindi, il discorso delle riforme,
davvero assai vasto, ai sistemi elettorali con i quali viene eletto
il Parlamento, cercando di esporlo in maniera semplice.
Cominciamo con il ricordare che i sistemi elettorali si dividono in
due grandi famiglie:
i sistemi maggioritari e i sistemi
proporzionali.
-
I primi assegnano la maggioranza assoluta
(cioè più del 50% dei seggi in Parlamento) alla lista
elettorale che sia arrivata per prima come numero di voti
ricevuti dagli elettori
-
I secondi, invece, assegnano alle liste
in competizione, proporzionalmente, tanti seggi quanti sono
i voti ricevuti in proporzione (es. se la lista Bianca ha
ottenuto il 10% dei voti, avrà il 10% dei seggi; se la lista
Rossa ha preso il 25% dei voti, avrà il 25% dei seggi
disponibili e così via per tutti le liste che abbiano preso
parte alla competizione elettorale).
Sembra chiaro a chiunque che i sistemi elettorali
maggioritari dovrebbero garantire una maggiore governabilità
(seppure a discapito della rappresentanza).
Eppure in Italia neanche i sistemi maggioritari sono riusciti a
garantire efficienza e governabilità. Le prime normative elettorali,
sin da prima dell'Unità d'Italia, (parliamo del 1848), erano di tipo
maggioritario.
L'elettorato attivo era sostanzialmente
censitario e riservava il diritto di voto ai soli cittadini di sesso
maschile di età superiore ai 25 anni che possedessero il requisito
dell'alfabetismo e pagassero un'imposta diretta complessiva (censo)
di almeno 20 lire per i residenti del continente.
Per gli elettori residenti in Sardegna e per
alcune categorie (artigiani, industriali, commercianti) il requisito
del censo era sostituito da forme di accertamento induttivo della
ricchezza, basate sul valore locativo dei beni immobili da essi
posseduti.
Si derogava al requisito del censo per nove categorie di elettori
(magistrati, notai, professori delle università e delle scuole regie
e provinciali, ufficiali e liberi professionisti) ammessi nelle
liste elettorali sulla base di un criterio di capacità
intellettuale.
Il sistema durò sino al 1882, esteso e adeguato alle porzioni di
territorio che il Regno di Sardegna, trasformandosi in Regno
d'Italia, andava via, via acquisendo negli anni 1859-1861.
Anche la riforma elettorale del 1882, strettamente connessa al
passaggio del timone del paese dalla Destra alla Sinistra storica,
pur realizzando diverse importanti innovazioni, restò
sostanzialmente di tipo maggioritario.
Sul piano del diritto all'elettorato attivo, il limite di età
previsto dalla previgente legislazione fu abbassato da 25 a 21 anni,
mentre fu mantenuto il requisito dell'alfabetismo.
Il criterio del censo non costituì più il titolo principale per
l'elettorato attivo, perché questo fu concesso, indipendentemente
dal censo,
-
a tutti gli alfabeti che avessero
superato le prove del corso elementare obbligatorio (o
equivalenti), o fossero in possesso del titolo di studio
superiore
-
agli impiegati pubblici (tranne gli
uscieri e gli operai), a coloro che avessero tenuto per un
anno l'ufficio di consigliere comunale o provinciale, di
giudice conciliatore, di presidente o direttore di società
commerciali
-
agli ufficiali e sottufficiali in
servizio o in congedo.
In tal modo, la platea degli elettori crebbe da
circa 600.000 a più di 2.000.000.
Con la legge 5 maggio 1891, n. 210, fu, dunque, stabilito il ritorno
al collegio uninominale, aprendo la strada ad una nuova tabella dei
collegi (approvata con r.d. 14 giugno 1891, n. 280), si passò al
sistema maggioritario uninominale, che durò sino al 1913.
Con l'attivarsi, all'inizio del Novecento, di più complesse
dinamiche politiche negli anni della prima evoluzione industriale
dell'Italia, maturò nella classe dirigente liberale la scelta di
intervenire nuovamente sul sistema elettorale.
Anche se con la riforma elettorale del 1913 non viene superato del
tutto l'ostacolo del censo per il riconoscimento dell'elettorato
attivo, furono introdotte non di meno importanti novità come il
rimborso spese e l'indennità per i deputati, formalmente esclusa
dallo Statuto Albertino.
Fu invece rinviata, con l'approvazione di un ordine del giorno nel
dibattito del 2 maggio 1912, la discussione sull'introduzione del
suffragio femminile.
Preparata da una intensa discussione parlamentare, la legge 15
agosto 1919, n. 1401, successivamente confluita nel Testo unico 2
settembre 1919, n. 1495, introdusse il sistema proporzionale nella
legislazione elettorale italiana, dopo che la legge 16 dicembre
1918, n. 1495, aveva introdotto il suffragio universale maschile,
dichiarando elettori tutti i cittadini maschi di almeno 21 anni di
età.
La riforma elettorale proporzionale, affermatasi con larga
maggioranza sia alla Camera che al Senato, corrispondeva ad una
profonda evoluzione del quadro politico, dato che ormai si erano
affermati i grandi partiti di massa (socialisti e cattolici)
all'indomani della Prima guerra mondiale.
Dopo aver ripartito i seggi spettanti a ciascuna lista nell'ambito
del collegio, i seggi venivano assegnati, nell'ambito delle liste,
ai candidati che avevano la cifra individuale più alta, risultante
dalla somma dei voti di lista con i voti di preferenza.
La nuova legge elettorale proporzionale fu applicata per la prima
volta nelle consultazioni elettorali del 16 novembre 1919, che
segnarono il ridimensionamento delle forze politiche di area
liberale e l'affermazione del Partito socialista e del Partito
popolare.
Con il Fascismo inizia un periodo buio per la democrazia italiana.
Con la caduta del fascismo e la fine della guerra entriamo nella
fase della transizione costituzionale.
Viene istituita un'assemblea provvisoria, in
attesa della possibilità di indire regolari elezioni politiche:
la Consulta nazionale.
Il decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile
1945, n. 146, assegnava alla Consulta il compito di formulare pareri
su questioni generali e sui provvedimenti legislativi del governo,
che era obbligato a sentire il parere della Consulta su alcune
materie quali bilancio, imposte e leggi elettorali.
La composizione della Consulta fu stabilita con
decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1945, n.168.
I consultori, inizialmente nel numero di 304, non
erano elettivi ed erano espressivi dei partiti del CLN, di
organizzazioni sindacali e professionali, della classe politica
prefascista
Le elezioni dell'Assemblea costituente si svolsero a suffragio
universale, dopo che, con decreto legislativo luogotenenziale 2
febbraio 1945, n. 23, fu concesso il voto alle donne. Il decreto
legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, stabilì che le
elezioni avvenissero sulla base di un sistema proporzionale, fondato
su collegi plurinominali a liste concorrenti.
Il sistema elettorale che caratterizzò buona parte della storia
repubblicana fu stabilito, per la Camera, con la legge 7 ottobre
1947, n. 1058, che introdusse un sistema elettorale proporzionale
(giocato su circoscrizioni plurinominali concepite come sezioni del
Collegio unico nazionale) a liste concorrenti, con la possibilità di
esprimere tre o quattro preferenze, secondo l'ampiezza dei collegi.
La Camera dei deputati fu eletta in ragione di un
deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a
quarantamila.
Dopo un primo referendum per la riduzione delle preferenze
esprimibili per l'elezione dei deputati e la possibilità di
esprimere la preferenza con indicazione del numero di lista,
svoltosi il 9 giugno 1991, il 18 aprile 1993 si svolse, con esito
positivo, il referendum per l'abrogazione di alcune disposizioni
della legge elettorale del Senato (legge n. 29 del 1948 e successive
modificazioni) per sopprimere la norma che prevedeva l'elezione nel
collegio uninominale solo previo conseguimento di un elevato quorum
del 65% dei voti, determinandosi altrimenti la ripartizione dei voti
su base proporzionale.
Il risultato della consultazione referendaria
indusse il Parlamento all'approvazione della legge 4 agosto 1993, n.
276 (relativa al Senato) e della legge 4 agosto 1993, n. 277
(relativa alla Camera), che introducevano sia per il Senato sia per
la Camera, un sistema elettorale misto.
Il sistema, soprannominato dalla stampa "Il Mattarellum", era
caratterizzato dall'elezione di tre quarti dei deputati e tre quarti
dei senatori con sistema maggioritario a turno unico nell'ambito di
collegi uninominali.
I restanti 155 seggi venivano attribuiti con il
sistema proporzionale con un sistema alquanto complesso.
Due leggi di revisione costituzionale (17 gennaio 2000, n. 1, e 23
gennaio 2001, n. 1) hanno in seguito attribuito ai cittadini
italiani residenti all'estero il diritto di eleggere, nell'ambito di
una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.
Essendo rimasto invariato il numero complessivo
dei componenti le due Camere, il numero dei seggi da distribuire
nelle circoscrizioni nazionali - detratti quelli da assegnare nella
circoscrizione Estero - si è quindi ridotto a 618 per la Camera ed a
309 per il Senato.
La legge 27 dicembre 2001, n. 459, ha attuato la
previsione costituzionale disciplinando l'esercizio del voto (per
corrispondenza) e l'attribuzione (con sistema proporzionale) dei
seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
La legge 21 dicembre 2005, n. 270 ha introdotto un sistema per
l'elezione della Camera dei deputati di tipo interamente
proporzionale, con l'eventuale attribuzione di un premio di
maggioranza in ambito nazionale, che sostituisce il sistema misto
precedentemente in vigore.
Questa legge n. 270/2005, più nota con il nome di "Porcellum" (il
nomignolo dice già tutto) è caduta sotto la mannaia della Corte
Costituzionale che con la sentenza n. 1 del 2014 ne ha dichiarato
l'incostituzionalità nelle parti in cui essa prevede l'assegnazione
di un premio di maggioranza, sia nella Camera, sia nel Senato, per
quelle liste o quei partiti che non abbiano ottenuto almeno il 55%
dei voti.
In altri termini,
la sentenza della Corte Costituzionale (il
cui intervento ha creato il sistema elettorale c.d. Consultellum)
ha detto che non è giusto, né ragionevole, assegnare una
maggioranza di seggi a chi non abbia ottenuto, nelle urne, il
riconoscimento dagli elettori di una soglia minima di voti.
A questo punto occorre fare due discorsi
distinti.
Mentre per il Senato è rimasto in vigore il
Conseltullum, per la Camera dei deputati è intervenuta la legge n.
52 del 2015, c.d. "Italicum", priva del premio di maggioranza e
della configurazione delle liste "bloccate" e con l'aggiunta del
voto di preferenza, secondo le censure rivolte al Porcellum dalla
Corte Costituzionale.
Ma anche l'Italicum è stato fatto segno di critiche da più parti,
soprattutto per il fatto che essa fosse applicabile soltanto alla
Camera e non al Senato.
Con la legge 3 novembre 2017, n. 165 (cd. Rosatellum) si è cercato
di porre rimedio a queste critiche. La legge 3 Novembre 2017, n. 165
recante,
"Modifiche al sistema di elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al
Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali
e plurinominali",
...delinea un sistema elettorale misto.
L'assegnazione di 231 seggi alla Camera (cui si aggiunge 1 collegio
in Valle d'Aosta) e di 109 seggi al Senato (cui si aggiungono un
collegio in Valle d'Aosta e sei collegi in Trentino-Alto Adige) è
effettuata in collegi uninominali con formula maggioritaria, in cui
è proclamato eletto il candidato più votato.
L'assegnazione dei restanti seggi avviene, nell'ambito di collegi
plurinominali, con metodo proporzionale tra le liste e le coalizioni
di liste che hanno superato le soglie di sbarramento: sono quindi
proclamati eletti in ciascun collegio plurinominale, nei limiti dei
seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella
lista del collegio, secondo l'ordine di presentazione.
Nei collegi uninominali il seggio è assegnato al candidato che
consegue il maggior numero di voti validi; in caso di parità è
eletto il più giovane per età (art. 77 TU Camera; art. 16 TU
Senato).
Per i seggi da assegnare alle liste e alle coalizioni di liste nei
collegi plurinominali, alla Camera il riparto avviene a livello
nazionale, con metodo proporzionale, tra le coalizioni di liste e le
liste che abbiano superato le soglie di sbarramento.
Completano le leggi una serie di soglie di sbarramento, al fine di
impedire alle piccole liste o ai partitini, magari presentatisi per
mero ostracismo, di ottenere dei seggi.
La legge n. 165 del 2017 prevedeva una delega al Governo per la
determinazione dei collegi uninominali e dei collegi plurinominali
della Camera e del Senato, previo parere delle competenti
Commissioni parlamentari (da esprimere entro 15 giorni dalla
trasmissione dello schema di decreto).
La delega è stata esercitata con l'approvazione
del decreto legislativo n. 189 del 2017 con cui si è ripartito il
territorio nazionale in 28 circoscrizioni elettorali.
Al Senato invece i collegi plurinominali sono costituiti dalla
aggregazione del territorio di collegi uninominali contigui e tali
che a ciascuno di essi sia assegnato, di norma, un numero di seggi
non inferiore a due e non superiore a otto.
Ulteriori modifiche a tali circoscrizioni sono state apportate con
la legge n. 51 del 2019. In queste modifiche occorre inserire la
riduzione del numero dei parlamentari.
Con la legge costituzionale 19 Ottobre 2020, n. 1 recante "Modifiche
agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione
del numero dei parlamentari", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.
261 del 21 ottobre 2020, il numero dei deputati e dei senatori
elettivi è stato ridotto rispettivamente a 400 e 200.
L'obiettivo della legge costituzionale è stato duplice: da un lato
favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere, per
renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini, e
dall'altro consentire all'Italia di allinearsi al resto d'Europa:
l'Italia, infatti, era il paese con il numero
più alto di parlamentari direttamente eletti dal popolo (945);
seguono la Germania (circa 700), la Gran Bretagna (650) e la
Francia (poco meno di 600).
La legge costituzionale inoltre, fissa in 5 il
numero massimo dei senatori a vita in carica, sciogliendo il nodo
interpretativo sul vigente articolo 59, secondo comma, della
Costituzione e stabilendo che il numero di cinque senatori di nomina
presidenziale sia un "numero chiuso", al fine di evitare la
possibilità di un'interpretazione, pur seguita in un passato non
recente, in base alla quale ciascun Presidente della Repubblica
poteva nominare 5 senatori a vita.
A seguito di tutte queste modifiche il sistema elettorale vigente
dal 2017 è un sistema elettorale misto a separazione completa,
(ribattezzato Rosatellum bis):
in forza del quale, in ciascuno dei due rami
del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un
sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61%
degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante
un meccanismo proporzionale corretto con diverse clausole di
sbarramento.
Le candidature per quest'ultima componente sono
presentate nell'ambito di collegi plurinominali, a ognuno dei quali
spetta un numero prefissato di seggi; l'elettore non dispone del
voto di preferenza né del voto disgiunto.
La Costituzione stabilisce altresì che otto
deputati e quattro senatori debbano essere prescelti dai cittadini
italiani residenti all'estero.
Come il lettore avrà potuto notare i sistemi elettorali, con il
tempo, si sono complicati sempre di più, alla ricerca spasmodica di
un equilibrio non facile da ottenere.
Per concludere auspico che la classe politica si impegni a
escogitare un sistema elettorale più semplice che restituisca ai
cittadini il piacere di andare a votare per esprimere la propria
volontà politica.
Anche se non credo che il crescente tasso di astensionismo, che
supera ormai il 50 per cento, sia da addebitare tanto alla
complessità dei sistemi elettorali, quanto piuttosto alla perduta
fiducia dei cittadini nei politici di professione, sempre più
invisi alla popolazione e sempre più distanti dai loro sentimenti e
dalle loro percezioni.
|