di Alejandro Martínez Gallardo

16 Ottobre 2018

dal Sito Web PijamaSurf

traduzione di Nicoletta Marino

Versione originale in spagnolo

 

 

 

 

I Baccanali degli Andrii

1523-24 di Tiziano

 

 

 

La pazzia,

più che una malattia,

può essere una cura;

una cura divinamente ispirata,

che ristabilisce lo stato di integrazione

tra l'anima e la sua fonte divina…

 

 

 

In uno dei suoi brani più memorabili della storia della filosofia, Socrate discute con Fedro se coloro che non amano sono superiori a coloro che amano.

 

Fedro legge il discorso di Lisia, che difende coloro che non amano, poiché praticano la misura e vivono un'amicizia moderata libera da passioni e ebrezze.

 

Socrate, prima un po' sconcertato, fa un discorso che sembra assecondare quanto detto da Lisia, ma immediatamente dopo fanotare che ciò che ha detto è blasfemo.

 

Sotto un grande banano dove scorre una fresca sorgente d'acqua e cantano le ipnotiche cicale, il filosofo cerca di riparare all'offesa fatta a Eros e si lascia trasportare dalle ninfe, pronunciando un megadiscorso, quindi parla dell'essere posseduto dalla divinità mentre egli stesso è posseduto da un dio:

"per paura dell'Amore stesso, desidero lavare, con parole migliori, l'amarezza di quanto udito".

Socrate adesso ricorre alla pazzia - alla loquacità divina - affinché curi il suo insulto usando la massima apollinea:

O trosas iásetai, "ciò che ha ferito guarirà".

Contro Lisia che aveva detto che bisognava preferire colui che non ama, poiché insiste sulla salute mentale mentre colui che ama entra in uno stato di demenza, Socrate difende la pazzia, la mania, parola che rimanda alle scienze dell'oracolo (mantíké):

perché se fosse una cosa così semplice affermare che la demenza è un male, un'affermazione così andrebbe bene. Risulta però che attraverso questa demenza, è certamente un dono che gli dei donano e ci arreca un gran bene.

Il filosofo aggiunge anche che la gran parte delle cose belle avvenute in Ellade sono avvenute grazie a delle persone che "non erano sane di mente".

 

Sono il frutto del delirio delle profetes e sacerdotesse e dobbiamo aggiungere dei filosofi e dei poeti che hanno raggiunto le vette più alte in stato maniacale.

 

Oggi ci può apparire strano e molti lo vedrano con un certo cinismo e con incredulità, ma per i Greci l'ispirazione divina era una realtà quotidiana, e anche una scienza psicofisica alla quale erano iniziati e per essa realizzavano purificazioni e libagioni.

 

Dopo tutto questo Socrate si predispone a provare e qui troviamo il quid del suo discorso:

"que tale 'manía' ci è donata dagli dei per notra maggior fortuna".

Si tratta di un discernimento di spiriti.

 

Socrate allora spiega la famosa struttura a tre dell'anima, formata dall'auriga e dai due cavalali, uno dei quali è una bestia bruta controllata dalla concupiscenza, che rende difficile il volo dell'anima verso la regione celeste.

 

L'anima umana è come divisa, tra sussulti passionali e freni razionali, in un mondo che a momenti gli da immagini che la elevano verso ricordi beati del suo passaggio nella dimensione celeste al seguito della sua divinità tutelare.

 

E' l'amore, quella mania che la possiede per contemplare la bellezza del suo amato, il che fa in modo che, l'anima in buonamisura prende il volo e si spinge nella sua dimensione verticale. Quindi il volto dell'amato le porta il ricordo di una bellezza eterna che la chiama dall'alto.

 

E la bellezza stessa opera come una specie di alchimia che scioglie le strutture anchilosate e intorpidite del corpo, permettendo che le ali si aprano e spuntino di nuovo le piume liberando un fiume d'ambrosia, un vino divino come quella che Zeus lascia scorrere sull'amante Ganimede (Acquario, colui che sostiene la coppa di ambrosia del cielo).

 

Comedice Socrate è:

"grazie all'amore otterranno le proprie ali, quando arriverà il tempo di averle”.

Questa è la prova che l'amore è realmente un regalo degli dei, poiché è la sostanza stesa della divinità, l'energia che eleva al ritorno verso la fonte celeste:

ho Theos agape estin.

Finalmente, Socrate espone la sua famosa classificazione quaternaria della pazzia divina, sebbene prima chiarisce che esistono du tipi di pazzia in generale:

  • quella dovuta a malattie umane

     

  • l'altra avviene quando “la divinità fa un cambiamento dagli usi stabiliti"

Quest'ultima si divide in quattro:

  1. Mantica o profetica, propria di Apollo

     

  2. Telestica o mistica, propria di Dioniso

     

  3. Poetica, propria delle Muse

     

  4. Erotica, la più eccelsa, propria di Afrodite e Eros

Il filosofo neoplatonico Hermias, nel suo Commentario al Fedro, ordinò queste manie divine in uno schema di iniziazione progressiva, secondo gli effetti che questa aveva sull'anima del discepolo.

 

L'ordine sarebbe questo:

  1. Poetica

  2. Telestica

  3. Mantica

  4. Erotica

Prima di aprirsi alla possesione divina, sicuro, era indispensable percorrere un processo di purificazione che consisteva nell'eliminare tutto quanto non era proprio dell'anima per divenire il “veicolo” reattivo all'influsso divino o per essere una bella dimora per l'agape degli dei.

 

Come una quinta mania divina forse potremmo aggiungere come dice Calasso:

"la pazzia che proviene dalle ninfe".

La ninfolepsia, lo stesso Socrate ne era posseduto quando faceva il suo divino discorso.

 

Anche se potrebbe essere situata nella mania poetica, per la sua vicinanza con le Muse, è certo che le ninfe sono associate ad Apollo e quindi anche a un certo furore erotico.

 

Questa è la mania di cui è presa fino a un certo punto e che vediamo riemergere, per esempio, nella ardua infatuazione di Nabokov per la sua ninfetta Lolita...