Il tecno-populismo,
un nuovo regime di governo europeo
La storia recente fornisce alcuni indizi che permettono di sventare la possibilità di un governo populista tout court, cioè formato da politici dei movimenti anti-establishment.
Al contrario ci si
potrebbe aspettare un regime misto tra tecnici e politici con
policies che potrebbero essere orientate ed influenzate dalla
tecnocrazia nazionale e sovranazionale. Andiamo con ordine e
partiamo da Roma, la capitale governata dai grillini.
Da un lato, il Movimento 5 Stelle ha vinto le elezioni con una candidata costruita in laboratorio dalla Casaleggio & Associati, società di comunicazione dei pentastellati, e sfruttando il voto di protesta contro le élites partitiche corrotte che hanno governato la Capitale.
Nella retorica elettorale grillina si è sviluppata una ricetta populista composta di giustizialismo, giacobinismo dell'onestà, periferie abbandonate, antipolitica e sovranismo.
Dall'altro lato, una
volta sbarcati al Campidoglio i grillini si sono accorti di non
disporre di una classe politica in grado di affrontare l'intrinseca
complessità del governo.
Nonostante i 5 stelle abbiano sfiorato il 70% dei consensi al ballottaggio che gli ha consegnato il governo di Roma non c'è stato segno alcuno della "politica classica", fatta di consenso e pragmatismo amministrativo.
Virginia Raggi è un
sindaco circondato esclusivamente da tecnocrati.
Cioè di personale politico che nelle democrazie mature è capace di gestire la macchina amministrativa, guidare i processi decisionali, mediare interessi e stabilire collaborazioni.
Nella campale lotta pentastellata alla mal-administration capitolina la rabbia è tutta canalizzata verso la politica tradizionale e non v'è strategia d'attacco al problema più complesso e grande di Roma:
E non è un caso se proprio nelle nomine di sottogoverno, negli incarichi dei dirigenti pubblici e nell'esercizio del patronage burocratico, che si sono verificati i problemi maggiori per l'inesperta Raggi.
Si evidenzia, dunque, un rischio legato all'affermazione populista e alla sua colonizzazione da parte degli interessi costituiti, di cui è spesso espressione la tecnocrazia, che è quello di avere le urne piene, ma il governo vuoto.
Con una classe politica inesperta ed inadeguata sostituita da tecnici solo formalmente neutrali, ma nella realtà legati al precedente sistema di potere.
Una volta arrivati al governo della capitale i grillini si sono accorti di non disporre di una classe politica, l'unica soluzione possibile è stata quella della
costituzione di una giunta tecnocratica
Nella crisi infinita dei partiti tradizionali cresce un messaggio di profonda contestazione alle classi politiche, amministrative ed economiche in nome della protezione e del riscatto del popolo mentre, al tempo stesso, il capitalismo globale non può fare a meno dei tecnici per gestire le sue complessità.
I segni e gli effetti su larga scala della tensione tecnopopulista sono evidenti:
Ancora una volta:
La stessa elezione in Francia del nuovo Presidente della Repubblica, che ha visto trionfare Emmanuel Macron, è un indizio di tecno-populismo.
L'ex ministro delle Finanze, infatti, ha rotto con il suo vecchio partito e avviato un movimento nuovo che in pochi mesi lo ha portato all'Eliseo sfruttando l'onda di malcontento nei confronti della politica tradizionale.
Il nuovo governo francese
appare, pertanto, un esperimento tecno-cesarista con un Presidente
della Repubblica, direttamente eletto dal popolo e che ha già
mostrato una vena accentratrice nel policy-making, contornato da una
serie di ministri tecnici, cioè di formazione tecnocratica prima che
politica, volti ad implementare le decisioni dell'Eliseo più che
contribuire alla formazione delle stesse.
Il nuovo governo francese appare, pertanto,
un esperimento
tecno-cesarista...
Tuttavia, il tecnopopulismo è una realtà politica che si va delineando, ma difficilmente costituirà la soluzione alla crisi di legittimazione delle istituzioni democratiche.
Il populismo non riesce a governare come vorrebbe perché teme di perdere il consenso nella complessità dell'amministrazione, proprio come insegna il caso Raggi, sia perché il rischio d'intraprendere policies scelte sull'onda emotiva e popolare è troppo elevato perché il sistema capitalistico globale e quello amministrativo lo Stato non reagisca sabotandone le intenzioni.
Allo stesso tempo, la tecnocrazia può essere un accessorio importante per il governo, ma resta una funzione strumentale.
Può esercitare azioni di implementazione e di controllo, ma non risolve il problema della discrezionalità politica che sta al cuore del governo perché come scriveva Wilfredo Pareto:
In definitiva, la
tecnocrazia non può neutralizzare la dialettica degli interessi
contrapposti nella decisione politica.
L'approccio qui
utilizzato è, come evidenziato, realista ovvero volto a cercare, per
citare Niccolò Machiavelli, "la realtà effettuale della cosa"
senza aggiungere valutazioni morali o interpretazioni ideologiche
rispetto a quanto derivi da fatti e accadimenti rintracciabili nella
realtà.
Si è passati così da una prima fase della globalizzazione ad una globalizzazione 2.0, dall'homo oeconomicus all'homo cyberneticus.
"Tecno-populismo": un'organizzazione del potere politico caratterizzata da interazioni fra democrazie nazionali, sistemi di capitalismo avanzato su scala globale, istituzioni sovranazionali, sistemi d'informazione e comunicazione tecnologica pervasiva, nuovi movimenti politici radicalizzati.
La combinazione di questi fattori ha trasformato le democrazie contemporanee nel modo con cui vengono prese le decisioni politiche, il livello a cui queste vengono prese, e le modalità attraverso cui vengono implementate.
Questo perché sono
cambiate le forme partito, le forma di comunicazione, le relazioni
tra rappresentanti e rappresentati, quelle tra informazione e
politica, tra diritto e processi politici.
In questo saggio ci concentreremo prevalentemente su due aspetti che appaiono particolarmente importanti a chi scrive proprio perché correlati tra loro:
Tuttavia, nel trattare questi due megatrends toccheremo rapidamente, seppure senza un adeguato approfondimento già svolto in un precedente lavoro, anche gli altri cinque elementi della trasformazione dei regimi liberal-democratici. 2
Se volessimo aprire la discussione sul rapporto tra tecnocrazia e democrazia potremmo sostenere che la democrazia è una oligarchia in cui si vota periodicamente per cambiare o confermare gli oligarchi.
Oppure, per dirla con Raymond Aron,
Nonostante queste possano apparire delle brutali semplificazioni non siamo poi molto lontani dalla realtà perché, come notava Roberto Michels, 3
Da una lato, infatti,
abbiamo un'aristocrazia, non elettiva, scelta per supposta
competenza e legittimata dalle forme democratiche e dall'altro una
democrazia dal contenuto aristocratico.
in cui il principio del primato della politica si esprime, la tecnocrazia è una delle forme di governo
in cui si
esprime il primato dell'economia...
Chi dice organizzazione,
per Michels, dice tendenza all'oligarchia.
In ogni sistema
democratico si dipana, infatti, una continua tensione tra la
politica e la competenza, tra la democrazia e la tecnocrazia, tra il
politico come migliore ed il tecnico, cioè il manager come migliore.
4
Lo sviluppo industriale caratterizza la società moderna proprio perché l'industria è il vessillo della modernità e chi guida il processo produttivo, pilastro fondamentale della società libera, è chiamato inevitabilmente a guidare l'intera società. 5
Democrazia e tecnocrazia sono l'espressione delle due grandi caratteristiche, divergenti ma dialoganti, della cultura politica occidentale:
Da questi due concetti,
che nelle democrazie liberali contemporanee non possono che
convivere, si originano due modalità diverse di selezione della
classe dirigente: la scelta dei migliori in democrazia è affidata al
voto, mentre in tutte le realtà in cui vige la competenza
tecnico-scientifica la selezione non può che essere affidata alla
cooptazione.
Inoltre, a queste negli ultimi trent'anni si sono aggiunte numerose istituzioni sovranazionali.
La politique partisane, dans les moments de crises, peut choisir de s'auto-dépolitiser et de se décharger sur la technocratie
la
responsabilité des choix politiques.
Questi ultimi risultano particolarmente interessanti:
Sono tutti organi con una governance mista:
Al di là della composizione questi hanno una serie di caratteristiche comune che impattano sulle democrazie contemporanee:
Con lo sviluppo del capitalismo globale, quindi a partire dalla fine degli anni ottanta, siamo di fronte ad una ramificazione dei centri di produzione del diritto.
Significa che mentre in uno scenario bloccato e solo parzialmente integrato come quello della guerra fredda governi, parlamenti e giudici nazionali erano essenzialmente sovrani su quasi tutto ciò che veniva regolato oggi questo potere si è grandemente affievolito.
Gli apparati di potere
nazionale hanno perso, con la globalizzazione dei mercati, potere
decisionale su molte materie che riguardano prevalentemente settori
economici.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la crescita del numero di figure non elettive nelle democrazie non è un fatto nuovo.
Se si prendono, ad
esempio, i report del governo del Regno Unito dal dopoguerra a oggi
sui Quangos, ovvero i Quasi-non governmental body, che
sono quei corpi amministrativi locali e nazionali che si occupano
prevalentemente della gestione dei servizi pubblici si rintraccia un
costante aumento di queste figure tecniche a discapito dei politici
eletti. 7
La Corte Costituzionale italiana in presenza di governi deboli ha svolto una funzione di supplenza su molte istanze, la Corte Suprema americana è stata fondamentale nel decidere sulla legittimità della riforma sanitaria del Presidente Obama, quella tedesca nelle misure economiche d'emergenza a livello europeo tra il 2011 e il 2013.
Eppure, queste sono composte da giudici nominati da vari soggetti istituzionali a seconda delle prescrizioni costituzionali di ciascun paese, e restano in ogni caso organi non elettivi e tecnocratici.
Lo stesso può dirsi delle
banche centrali, anch'esse composte da tecnici di alto livello
selezionati dai governi, ed esse stesse enormemente influenti nelle
decisioni governative o, come nel caso dell'Unione Europea, per i
destini del Continente.
Un réseau de pouvoirs, publics et privés, élus ou non, informe l'espace juridico-politique global dans lequel se meuvent les États au niveau exécutif,
mais
quasiment jamais au niveau parlementaire.
Gli esecutivi dei governi del ventunesimo secolo diventano così, allo stesso tempo, promotori e oggetto delle regole internazionali.
Una rete di poteri, pubblici e privati, elettivi e non, informa lo spazio giuridico-politico globale in cui si muovono gli Stati a livello governativo e quasi mai parlamentare.
Una ragnatela che disarticola il concetto di sovranità politica, come più avanti vedremo, e che pone quesiti futuri riguardanti l'accountability e la responsabilità di questi organi non elettivi ma capaci quanto meno di influenzare la legislazione degli Stati nazionali.
Ciò fa della
globalizzazione e dello sviluppo tecnologico due elementi di per sé
portatori di trans-nazionalità nel diritto e nelle decisioni
politiche così come di depoliticizzazione delle democrazie.
Profili accademici ed internazionali di alto livello così come una serie di ruoli di prestigio e alta burocrazia ricoperti a livello domestico ed europeo hanno favorito la loro ascesa alla testa del governo.
Dunque, in momenti di crisi economica e politica la democrazia italiana si è affidata a figure non politiche per condurre l'esecutivo con i partiti che hanno compiuto un passo indietro sostenendo i governi tecnici in Parlamento.
Un esempio di come la politica partitica, in momenti di crisi, può scegliere di auto-depoliticizzarsi, scaricando sulla tecnocrazia la responsabilità delle scelte politiche.
L'allontanamento istituzionale sfocia in un problema di accountability: dove si decide, su cosa e chi lo decide sono spesso domande a cui i cittadini non riescono a dare risposta.
Accettare scelte che
riguardano la vita quotidiana prese da centri di poteri lontani e
senza volto contribuisce a creare quelle tendenze che abbiamo già
riscontrato nei paragrafi precedenti.
Il tecno-populismo appare come il punto di contatto tra la piramide che si sviluppa dal basso verso l'alto del populismo e quella che si muove dall'alto verso il basso della tecnocrazia.
Dalla libera circolazione delle merci si è passati a condividere, soprattutto con l'avvento di Internet, un'enorme quantità di informazioni e connessioni.
Inoltre, sono cambiate le
modalità d'interazione tra esseri umani affiancando al rapporto
visivo e verbale quello virtuale, immediato e diretto.
L'elettore viene
coinvolto dalla rete e dai social network in un dibattito permanente
e diretto, ha la possibilità d'interloquire in modo molto più agile
e semplice con i propri rappresentanti, può apprenderne lo stile di
vita, i costumi privati oltre che le dichiarazioni e i programmi dei
politici. 9
I leader possono dialogare e rivolgersi in continuazione ad una enorme platea di elettori, possono studiarne le reazioni, indagarne le preferenze, tracciare gli umori e muoversi di conseguenza.
Il rapporto tra politica
e pubblico si è fatto via via molto più intimo e confidenziale
seppur attraverso fibre ottiche ed onde elettromagnetiche.
I social network combinati ai mass media già esistenti hanno accentuato il processo di personalizzazione e spettacolarizzazione della politica.
E fanno di essa una della cause dell'estremizzazione dell'offerta politica. L'immediatezza è la caratteristica più penetrante che internet abbia fornito alle forme della politica.
Il giurista Sunstein rileva quanto i social network abbiano aumentato il "rumore" delle informazioni a disposizioni del cittadino, ma le abbiano anche personalizzate creando all'interno della rete delle comunità dai confini molto solidi da cui è difficile uscire, perché gli algoritmi dei social ripropongono all'individuo solo contenuti verso i quali aveva già espresso interesse consolidando le convinzioni dello stesso.
In altre parole, per il giurista americano i nuovi media frazionano e polarizzano la società riducendo la moderazione delle opinioni e il dialogo ragionevole.
Ciò ha determinato due effetti:
Questo fenomeno ha dato origine ad un cortocircuito tra la politica e l'opinione pubblica:
Il meccanismo si ripete
circolarmente verso i vari partiti politici ed alimenta una vera e
proprio effetto a "montagne russe" che porta a successi e cadute
repentine dei partiti politici. 12
Le preferenze dei cittadini sono andate a candidati outsiders, lontani dalla politica tradizionale, in alcuni casi novizi della politica e a nuovi movimenti che hanno saputo intercettare scontento, sfiducia e rabbia verso le istituzioni.
Ha vinto chi ha costruito una contro-narrazione, costruito una forte personalità e un rapporto diretto, intimo, immediato con gli elettori.
La personalizzazione è ritornata un elemento chiave della politica contemporanea superando, o comunque rompendo, quel processo di razionalizzazione che avevano fatto della spersonalizzazione statuale il pilastro dell'ordine politico e costituzionale della modernità. 14
La "fabbrica del carisma" è diventata, in misura di gran lunga maggiore rispetto al passato, l'officina del successo politico.
Gli elettori sono passati dalla membership partitica alla leadership politica, mentre lo storytelling, il racconto del politico e della politica, si è erto a sovrano dispotico della politica contemporanea.
E ha fornito la materia prima, il carburante fondamentale, per l'estremizzazione dell'offerta politica.
Questi due fenomeni che prendono corpo dentro e fuori le democrazie caricano di pressione l'attuale classe politica esponente dei partiti tradizionali al fine di ottenere un cambiamento delle politiche a livello nazionale e sovranazionale.
Tuttavia, populismo e
democrazia raramente condividono gli stessi obiettivi e la stessa
logica seppure è capitato, come nel caso della denuncia dei
privilegi della classe politica italiana sia da parte del
Movimento 5 Stelle che della lettera inviata dalla BCE al
governo italiano nel 2011, che questi potessero coincidere.
Si avvale di strumenti finanziari, di risorse economiche e soprattutto di regole per raggiungere i propri obiettivi secondo una logica prettamente razionale, quella che Alaisdair Roberts ha chiamato la logica della disciplina.
Il tecnocrate sceglie come soluzione migliore quella che funziona, la quale non è sempre quella percepita come più giusta dalla dialettica democratica.
Tuttavia, i tecnocrati
che esercitano un potere decisionale non si cimentano con il
dibattito ideologico né con le pratiche democratiche di formazione
del consenso perché questi passaggi possono condurre a risultati
inefficienti dal loro punto di vista. 15
Possiamo, quindi, definire il tecno-populismo come una serie di trasformazioni politiche derivanti dalla pressione esercitata, dalla tecnocrazia internazionale/sovranazionale e dai nuovi movimenti politici polarizzati all'interno delle democrazie, sugli esecutivi nazionali al fine di ottenere cambiamenti nelle politiche pubbliche e sostituzione della classe politica nelle istituzioni.
In questo contesto si
determina l'attrito tra le proposte efficienti, razionali e
impopolari della tecnocrazia e la proposta di cambiamento
democratico, perciò a tratti istintivo, umorale, irrazionale, dei
nuovi partiti contro le politiche e le istituzioni della classe
politico-burocratica espressione dei partiti tradizionali.
La risposta al problema dei tecnocrati, fino ad oggi, è stata quella di imbrigliare con le regole di bilancio, produzione e organizzazione, i movimenti di protesta che arrivano al governo.
Le regole che la politica sceglie di darsi attraverso costituzioni e leggi (nazionali e sovranazionali) sono importati per limitare il potere della politica stessa, l'intrusione del pubblico nella vita dei cittadini, per evitare scelte politiche avventate che possono distruggere la ricchezza delle nazioni o di azzerare la crescita del benessere (come è accaduto in molti paesi meridionali dell'Unione Europea).
Tuttavia, quando le regole vengono calate dall'alto verso il basso, ovvero svincolate dalla dialettica democratica, possono determinare reazioni e conflittualità politica.
E questo, magari, non perché queste regole siano razionalmente sbagliate, ma perché prive della legittimità politica necessaria per essere sopportate dalla logica democratica, come è accaduto per alcune regolamentazioni del mercato unico europeo, per provvedimenti di disciplina fiscale come il fiscal compact o per i limiti al rapporto deficit/PIL.
Una struttura decisionale
di questo genere rischia di avviare un cortocircuito crescente tra
tecnica e politica che si estrinseca con la vittoria della proposta
maggiormente polarizzata contro l'ordine costituito come è avvenuto,
ad esempio, tra Bruxelles e Londra con il voto a favore
della Brexit e nell'elezione di
Donald Trump negli Stati Uniti
tra le politiche, le logiche, le regole di Washington e la reazione
delle periferie del paese.
Una sfida che oggi non sembra ancora trovare alcuna risposta soddisfacente né a livello europeo né a livello di Stati nazionali.
E' costruito da una tensione tra due vie di fuga alla crisi della democrazia parlamentare:
E' probabile che i prossimi anni della politica europea saranno caratterizzati dal tentativo di amalgamare la "logica della disciplina" prodotta dai mercati globali e dal neoliberalismo con una "logica della democrazia" sempre più stressata dagli effetti disordinanti del "politico".
Soltanto la ricerca di questo nuovo equilibrio permetterà alla democrazie liberali di salvarsi mantenendo sistemi capaci di produrre ricchezza diffusa e, allo stesso tempo, di conservare una forte legittimazione politica.
Una ricerca che richiederà, necessariamente, la formazione di nuove elite e di nuove teorie politiche. Servirà un lavoro di riesame profondo delle democrazie contemporanee, dei loro vizi e delle loro disfunzioni.
Formule migliori, più realistiche, più oneste e più funzionali delle democrazie andranno incessantemente ricercate nel prossimo futuro.
Referenze
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