di Guido Mongini 26 Luglio 2018 dal Sito Web Geopolitica
dai mille nomi e volti, che rimandano però e celano il mistero stesso del potere,
e cioè la forza.
A un anno di distanza dal drammatico e controverso attentato alle torri gemelle consumatosi a New York Tll settembre 2001, Carlo Galli pronunciava una vera e propria omelia funebre sul pensiero di Carl Schmitt (1888-1985):
Una posizione che l'illustre politologo, seguito da molti altri, avrebbe costantemente ribadito negli anni successivi, incentrata sulla presunta intrinseca inadeguatezza del pensiero del giurista tedesco rispetto al fenomeno della globalizzazione - inteso come radicalmente discontinuo rispetto alla modernità, della quale soltanto Schmitt fu l'interprete, e fenomeno perciò interamente inedito, rispetto al quale tutte le categorie schmittiane risulterebbero inapplicabili, (3) con ciò dimenticando che l'età moderna si caratterizzò storicamente, tra il resto, proprio per il fatto che essa si aprì con la prima globalizzazione (le scoperte geografiche e l'espansione europea nelle Americhe, in Africa, in India, Cina e Giappone) e si chiuse con una seconda ondata globalizzatrice, quella del colonialismo.
Una medesima ansia
liquidatoria, e seppur in prospettiva diversa, nei confronti di
Schmitt e del sempre ricorrente - perché ineludibile - problema
della teologia politica, è emersa negli ultimi anni come
prosecuzione di posizioni critiche assai risalenti nel tempo anche
in interpreti acuti come Massimo Cacciari (4) e
Roberto Esposito. (5)
2. Un concetto
dimenticato - Il katechon negativo
Com'è noto, il termine è riferito ai passi molto enigmatici di Paolo, 2Ts, 2, 6-7, in cui si allude a qualcosa o qualcuno che trattiene, o contiene o frena,
È noto che si deve proprio a Cari Schmitt la riscoperta e la reintroduzione nel dibattito giuridico, filosofico e politico contemporaneo dell'enigmatico concetto paolino di katechon, altrimenti del tutto dimenticato e sepolto da secoli.
La riflessione di Schmitt sul katechon, iniziata, come scrisse egli stesso, nel 1932 e protrattasi fino almeno al 1977, (8) deve essere collocata nell'ambito più generale del suo pensiero sulla teologia politica, di cui rappresenta un aspetto molto particolare, a sua volta connesso con la riflessione sul diritto internazionale, sulla geopolitica e sul problema dell'ordinamento del mondo, cioè sul "nomos della terra".
Come per la teologia
politica, è possibile osservare che le concezioni di Schmitt sul
katechon variano nel tempo, trattandosi - nell'uno come nell'altro
caso - di acquisizioni provvisorie di un pensiero in divenire che
non si risolve mai interamente nelle singole posizioni che assume in
un determinato periodo o contesto e nemmeno nella semplice
sommatoria di esse - come sembra invece intendere Galli nella sua
riduttiva ipotesi di tipologia della teologia politica schmittiana.
(9)
Si può certo ipotizzare che la sua riflessione sul tema del katechon - innovativa e in sostanza solitaria nel contesto del suo tempo - fosse allora solo agli inizi e che gli sviluppi successivi costituissero anzitutto per lo stesso Schmitt delle tappe o delle occasioni per meglio precisare il proprio pensiero, e che di conseguenza le affermazioni del 1942, in quanto espressione di uno stadio superato, non venissero più riprese proprio perché non rappresentavano più il pensiero del loro autore.
Di contro, tuttavia, occorre ricordare che, secondo la sua stessa testimonianza, Schmitt aveva iniziato ad interessarsi del problema del katechon già dieci anni prima, nel 1932, e che le pagine del 1942 avevano dunque dietro di sé un decennio di riflessioni.
Inoltre, se Schmitt
avesse ritenuto del tutto obsoleto o contrario al suo pensiero
quanto scritto in quell'occasione, non avrebbe, molti anni dopo, nel
1983, ripubblicato il saggio del '42.
Ciò che colpisce è il fatto che Schmitt, come si è accennato, affronti solo in Acceleratori involontari senza mai più ritornarci il tema, quanto mai arduo e sfuggente, dell'ambiguità del katechon, o meglio, della possibile ambiguità dell'azione katecontica in determinati contesti e situazioni, suscettibile di rovesciarsi nel suo esatto contrario pur conservando la propria apparenza: quest'ultima si rivela perciò ad una attenta analisi null'altro che una vera e propria maschera volta a coprirne - consapevolmente o meno - l'azione autentica.
Così, il senso dell'intervento americano stava,
Le premesse di tale politica mondiale Schmitt le rintracciava nelle dottrine dell'ammiraglio Alfred Tahyer Mahan (1840-1914), grande esperto americano di geopolitica e influente consigliere di Roosevelt, che aveva più volte affermato la necessità della riunificazione delle potenze anglosassoni sulla base della comune politica di potenza marittima.
Mahan aveva tuttavia anche insistito al contempo sulla inadeguatezza della sola Inghilterra nel sostenere il peso di tale politica di egemonia mondiale, che doveva perciò essere proseguita - in una sorta di tacita quanto ineluttabile translatio imperii - dagli Stati Uniti a causa del loro intrinseco "carattere insulare", non geografico ma strategico, in quanto esenti da minacce di potenze militari terrestri (essendo circondati da oceani su due lati e controllando le inferiori potenze confinanti del Centro America e del Canada).
Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX la strada sarebbe così stata aperta, secondo Mahan, all'"egemonia marittima e mondiale angloamericana". (14)
Gli angloamericani di fatto detenevano "il più fantastico dei monopoli, ovvero il monopolio della custodia della libertà su tutta la terra", da cui traevano fondamento nel loro complesso gli altri elementi di quell'egemonia mondiale:
Schmitt proseguiva
osservando che "Adesso tutto questo è finito" in quanto (15)
il motivo di fondo dell'attuale guerra mondiale sta proprio
nell'opposizione a una simile egemonia mondiale universale e alla
sua pretesa di valere come ordinamento del mondo. Contro
l'universalismo dell'egemonia mondiale angloamericana si è imposta
l'idea di una terra ragionevolmente ripartita in "grandi spazi"
continentalmente interdipendenti.
A questo punto, ritornando all'interrogativo di apertura, Schmitt si chiedeva se una simile guerra planetaria potesse essere "decisa" dall'America e ne analizzava la situazione geopolitica, mettendo in evidenza che l'America era,
Schmitt proseguiva approfondendo l'analisi della "intrinseca mancanza di decisione" (17) e contraddittorietà americana, osservando infine che,
Senza esprimersi in modo
esplicito, dunque, Schmitt lasciava tuttavia filtrare - certo anche
influenzato dalla sua posizione non di nazista ma di tedesco fedele
alla propria patria - un giudizio negativo sulle capacità
dell'America di "decidere" da sola la grande guerra mondiale cui era
sotteso il conflitto tra l'ordinamento imperiale del mondo di
matrice anglosassone e l'ordinamento dei grandi spazi. (19)
In modo piuttosto sorprendente, tuttavia, il giurista tedesco riprendeva l'analisi dell'oscillazione americana e della sua intrinseca indecisione per osservarla da un altro punto di vista, e il titolo stesso del suo saggio svelava così il suo significato.
L'Inghilterra si era dunque,
Essa si era infine trasformata,
Giunta a questo punto, l'analisi di Schmitt compiva un vero e proprio salto concettuale: (21)
Senza esplicitarlo, il
rinvio di Schmitt era evidentemente ai versetti paolini della II
Tessalonicesi, che la tradizione esegetica interpretava in
prospettiva escatologico-apocalittica.
Schmitt concludeva osservando che,
Merita di passaggio notare che i temi cui Schmitt alludeva molto sinteticamente li avrebbe tutti ripresi in seguito, sia negli scritti pubblicati che nei diari privati:
Un dato, poi, occorre rilevare: la funzione indiscutibilmente positiva che Schmitt assegnava a tutti gli esempi citati, di cui il più significativo - e certo quello "chiave" - era costituito dal rinvio a san Paolo (il katechon "impediva che la fine apocalittica dei tempi (...), sopraggiungesse") e da quello alle dottrine tardoantiche e medievali sulla funzione dell'"imperium romanum" e poi di quello cristiano medievale come "il fattore che "tratteneva" Peone, determinando un rinvio della fine".
Superfluo aggiungere che
si trattava evidentemente di concetti teologico-politici, ovvero di
concetti che trasferivano al piano storico-politico nozioni
tipicamente teologiche.
Ancora una volta senza
esplicitarlo, Schmitt istituiva di fatto una duplice tipologia, e la
conseguente comparazione, tra due grandi categorie - anche
differenziate al loro interno - di rallentatori e di forze frenanti,
simili in apparenza ma in realtà profondamente diverse.
...e ciò a causa del
fatto che, con l'ingresso nel conflitto mondiale, gli Stati Uniti
intervenivano precisamente contro l'emergente ordinamento del mondo
secondo i grandi spazi e per riaffermare l'egemonia mondiale
angloamericana, ovvero un ordinamento "unipolare", secondo la
terminologia attuale.
La conclusione di Schmitt era dunque coerente con questi presupposti.
Infatti, se, in generale, anche dal punto di vista delle forze frenanti e dei rallentatori, emergeva Tintrinseca contraddittorietà politica degli Stati Uniti, in quanto,
...nello specifico della situazione concreta - l'entrata in guerra dell'America - quella interna contraddizione era proprio ciò che faceva emergere la natura profonda di quell'azione apparentemente rallentante:
E l'osservazione conclusiva del suo articolo esplicitava il senso per la "storia universale" di quell'azione dall'apparenza frenante ma intrinsecamente contraddittoria:
Per Schmitt, proprio la contraddizione tra azione frenante negativa - di fatto irrazionale perché "ostacolo ad ogni mutamento razionale" - e tentativo di restare aperti "verso il nuovo e il futuro" impediva agli Stati Uniti (e al presidente Roosevelt) di incarnare il katechon e di esercitare una autentica forza frenante in senso positivo.
Tuttavia, per tutto ciò e
inoltre per la scelta di "proseguire sulla strada dell'egemonia
britannica" mondiale - ovvero, una scelta eminentemente
conservatrice, propria di un impero ormai invecchiato - anche
restava preclusa all'azione americana la possibilità di svolgere il
ruolo opposto, quello di un "grande propulsore" della storia
universale.
Il rallentatore negativo, la forza frenante negativa, caduta la maschera, in una catastrofica eterogenesi dei fini si rovesciava così nel suo opposto: in un fattore di accelerazione degli eventi.
Privo tuttavia di direzione perché fondamentalmente in-deciso, oscillante e contraddittorio, esso esplicava un'azione accelerante "involontaria":
L'esatto opposto del
katechon, in senso paolino e medievale, produttore di ordine perché
capace di trattenere e rinviare la fine apocalittica, il grande caos
escatologico.
Senza riuscire a giungere, per tutto il tempo della cosiddetta Guerra fredda, ad una egemonia mondiale, gli Stati Uniti indubbiamente proseguirono la loro ascesa in vista proprio di quel traguardo - e certo con quell'obbiettivo strategico - per tutta la seconda metà del XX secolo, fino ad assaporare per alcuni anni, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e il crollo dell'Urss, la vertiginosa sensazione di essere rimasti l'unica superpotenza mondiale e quindi di fatto l'Egemone universale.
Se è opinabile che tale fosse la situazione reale, non vi è dubbio invece che una potente opera di propaganda abbia invaso il discorso pubblico dell'Occidente per oltre due decenni a partire dal 1989 per tentare di accreditare sul piano dell'immaginario collettivo proprio il concetto di un mondo finalmente unipolare sotto la guida, naturalmente benevola, dell'unica superpotenza rimasta, storicamente autodefìnentesi come la "nazione indispensabile", proiettata verso il "New American Century" proclamato dai neoconservatori americani alla fine del XX secolo.
Molti elementi, tuttavia,
emersi particolarmente negli ultimi anni, obbligano a un tentativo
di riconsiderare gli attuali scenari geopolitici e
teologico-politici secondo una diversa prospettiva.
Ed è in questa
prospettiva di senso che merita riprendere in relazione all'attuale
contesto intemazionale la figura del katechon negativo.
Anzi, occorre riconoscere che l'oscillazione rilevata da Schmitt si è andata di fatto alterando in una sorta di pan-interventismo soprattutto dopo il 1989, ancor più acceleratosi dopo i controversi attentati dell'11 settembre 2001, che hanno comportato l'aggressione militare americana in Afghanistan e Iraq (stati nei quali l'esercito americano è operativo ancora oggi), preceduta dall'intervento nell'ex-Jugoslavia, e una serie di interventi in cui la presenza americana si era esplicata in forma mediata ma non meno efficace:
Altrettanto, il meccanismo del "riconoscimento e non-riconoscimento" di nuovi Stati o nuove situazioni geopolitiche - emblematico il caso della penisola di Crimea - è stato fatto valere in modosfacciato.
In generale, le ambizioni
egemoniche statunitensi si sono fatte via via più scoperte e
aggressive, aumentando in pari misura le difficoltà della retorica
ufficiale nel coprire sotto la maschera dell'"intervento umanitario"
e della "pacificazione" quelle che non sono altro che iniziative di
natura imperialistica.
Con Trump, almeno in teoria - ovvero secondo gli slogan del suo progetto politico - sembrava ritornare un tema del tutto classico della geopolitica americana:
Lo slogan America First era infatti stato inteso dagli elettori del nuovo Presidente come l'espressione della volontà di "riportare lo sguardo" dell'amministrazione americana, e dei molti centri di potere che la compongono, sugli Stati Uniti stessi, sui confini nazionali, ovvero sul paese e sul popolo americano, abbandonato a sé stesso da decenni sotto il profilo sociale (scuole, cure mediche, infrastrutture fatiscenti - strade, ponti, ferrovie, reti idriche, reti elettriche) e flagellato da una devastante crisi economica, con conseguente altissima disoccupazione e sottoccupazione, sempre più rapidamente avviata a divenire una crisi socioantropologica profonda.
America First insomma pareva preludere ad un graduale disimpegno americano dai molti teatri geopolitici - il migliaio di basi militari sparse nei cinque continenti attestano la proiezione globale dell'egemonia americana così come l'enorme impiego di risorse economiche, materiali e umane - per riportare finalmente in primo piano i bisogni del popolo americano.
Un simile mutamento di
rotta - in sé davvero epocale - non solo non si è verificato (anche
se molti segnali indicano che, tra fortissime opposizioni, viene
lentamente portato avanti), ma, come è sotto gli occhi di tutti, ha
sollevato la violenta reazione dei maggiori centri di potere
statunitensi, fino a produrre una situazione di inaudito conflitto
ai massimi vertici del potere americano, in cui entrambi i partiti
repubblicano e democratico si sono uniti per delegittimare e tentare
di destituire il Presidente in carica, di fatto in politica estera
sottoposto al controllo del Congresso (27) e messo sotto
tutela da una sorta di junta militare ma forte tuttavia di un ancor
ampio sostegno popolare.
...sono riemerse, provocando una pericolosissima polarizzazione delle forze politiche americane e della stessa società americana, spaccata al suo interno e pervasa da fermenti di crescente ostilità tanto in senso orizzontale - bianchi contro neri, "libertari" contro sedicenti neonazisti etc. - quanto in senso verticale, ovvero di ampi settori sociali in sorda rivolta contro le fameliche e spietate élites del potere che si perpetuano da decenni.
Se ben poco, in fondo, di
tutto ciò traspare sui principali media europei e anche americani,
si moltiplicano i commentatori indipendenti che registrano e
segnalano allarmanti indizi del serpeggiare in strati sempre più
ampi della società americana di un accumularsi di tensioni che molti
ormai si spingono a definire come i prodromi di una - inaudita ma
non sorprendente - prossima guerra civile.
Altrettanto, grandi associazioni - economiche, militari, commerciali - sono sorte del tutto svincolate dal controllo statunitense o delle altre istituzioni globali a guida americana.
Basti pensare ai cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che oltre a molteplici accordi commerciali hanno da alcuni anni iniziato a sviluppare una propria banca di investimenti, in evidente alternativa al Fondo Monetario Internazionale.
O ancora alle importantissime associazioni - come l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai - che riuniscono i Paesi dell'Estremo Oriente e del centro Asia, sia a sfondo economico sia militare.
Ovvia premessa di tali
innovativi eventi è poi la forte crescita delle economie della Cina
e dell'India così come di altri Paesi del Sudest asiatico,
competitori sempre più efficaci delle economie occidentali.
Con ancor maggiore evidenza rispetto al 1942, dunque, quella che si sta già combattendo almeno dall'inizio del terzo millennio appare esattamente una,
Non è dunque casuale né
privo di fondamento che alcuni tra i maggiori protagonisti, sul
versante russo, degli attuali rivolgimenti inizino a parlare
apertamente di un'"era post-occidentale" il cui carattere specifico
è proprio da rintracciarsi nell'emergere di un ordine mondiale
multipolare, cui soprattutto gli Stati Uniti, e i loro più stretti
alleati, continuano ad opporsi. (28)
"Tutore", dunque, "di tutti i malati", anche i più infetti e ributtanti, del nostro tempo, l'impero americano esibisce invece tutta la sua disumana ferocia contro chi tenta di sottrarsi alla sua egemonia o, peggio, intende arginarla e contrastarla.
La distruzione di interi
Stati - tutti senza eccezione collocati nello spazio geografico
coinvolto nel grandioso progetto cinese "One
belt one road" della "nuova via della seta",
inteso a creare una enorme zona di interscambi commerciali resi
possibili da gigantesche infrastrutture stradali e ferroviarie
rivolte a collegare in un unico blocco pluralistico le sponde cinesi
e il Mediterraneo - con il "danno collaterale" di milioni di morti,
di profughi, di malati e storpi, iniziata con l'Afghanistan e
l'Iraq, proseguita in modo, si è detto, mediato, in Libia e Siria
(dove però ha subito una cocente e potenzialmente decisiva battuta
d'arresto), inequivocabilmente testimonia al "resto del mondo" che
non è Occidente (29) la realtà della politica americana
al di là delle falsificazioni mediatiche e delle ipocrisie retoriche
dei governi occidentali.
Anzitutto la posta in gioco, che consiste - oggi molto più di allora - precisamente, per gli Stati Uniti, nel tentativo di rallentare e frenare in tutti i modi l'emergere di un ordinamento globale ripartito in grandi spazi, che ovviamente minaccia di per sé l'egemonia imperialistica di matrice anglosassone così come si è consolidata sempre più nel corso degli ultimi settant'anni.
In secondo luogo, Schmitt
attirava l'attenzione sull'ambiguità possibile dell'azione
katecontica e sulla natura, le cause e gli effetti di tale
ambiguità. Su questo secondo aspetto occorre ora brevemente
soffermarsi.
L'azione frenante del
katechon negativo - in quanto intrinsecamente contraria "ad ogni
mutamento razionale" sul piano internazionalistico - appare dunque
connaturata ad un aspetto fondamentalmente irrazionale (oltre che
contraddittorio) che ne mina alla base l'efficacia e, si è più sopra
rilevato, sembra costituire, almeno per Schmitt, la ragione della
catastrofica eterogenesi dei fini cui dà luogo, ovvero il fatto che
l'azione frenante in realtà si capovolga in un'accelerazione non
voluta dei processi cui intende opporsi.
Una traccia è offerta dallo stesso Schmitt quando, di passaggio, distingue tra due idealtipi:
Quest'ultimo, con tutta evidenza, si distingue dagli altri due, e in particolare non può essere assimilato ai "grandi propulsori".
Ciò indica che Schmitt effettua una distinzione tra le forze di "propulsione" e di "accelerazione", le prime assumendo, nel contesto, un significato inequivocabilmente positivo - si può ipotizzare in quanto fautrici di "mutamenti razionali" sul piano dello sviluppo storico.
Così, per caratterizzare l'irrazionalità del katechon negativo si può osservare che Schmitt sceglie la categoria dell'accelerazione, "involontaria" (anche) perché appunto irrazionale e dunque produttrice di effetti opposti alle intenzioni originarie.
Inoltre, è ormai chiaro
che l'azione frenante del katechon negativo non è che una maschera,
in senso teologico-politico, che copre la natura propria della sua
azione effettiva.
L'ipotesi che si propone è che tale allusione rinvìi al problema, del tutto centrale, del messianesimo e del suo significato (e utilizzo) politico.
È noto che "l'accelerazione dei tempi della fine", in vario grado e modo, è un tema tipico e assolutamente centrale delle molte forme di messianesimo che tanto l'ebraismo quanto il cristianesimo, soprattutto protestante, hanno elaborato.
Altrettanto, è noto che Schmitt ha sottolineato in varie occasioni, se pur in forme in parte ellittiche, il carattere fondamentalmente messianico degli Stati Uniti, fondato sul calvinismo politico radicale che ne costituisce la matrice storico-teologica irrinunciabile. (30)
Allo stesso modo, Schmitt sottolineò fortemente il significato politico del messianesimo rivoluzionario inglese (premessa storica e genealogica degli stessi Stati Uniti), cui Thomas Hobbes - nella lettura del giurista tedesco - anzitutto intese opporsi con il suo Leviatano:
Alla luce di questi pur rapidi elementi si può infine ipotizzare che il katechon negativo, in quanto acceleratore involontario, non sia altro che una maschera messianica, ovvero che la sua azione in apparenza frenante ma in realtà accelerante e al contempo irrazionale, involontaria e dagli effetti caotici e distruttivi sia una tipica manifestazione del messianesimo politico.
Senza soffermarsi sul dato ben noto che una parte decisiva delle élites politiche americane - i cosiddetti neocons - aderisce a matrici ebraico-cristiane radicali e intrinsecamente messianiche, occorre ad esempio ricordare che l'allora Segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice (vicina agli stessi neoconservatori), in occasione dell'aggressione israeliana al Libano, respingendo ogni proposta di mediazione diplomatica ebbe ad affermare: (32)
Parole profetiche per più motivi.
Anzitutto, come è evidente per gli osservatori meno distratti, l'accenno ai "dolori del parto (cfr. ad es. Matt. 24, 7-8) di un nuovo Medio Oriente" era precisamente un ammiccamento ai variegati gruppi americani di cristiani sionisti per i quali le recenti guerre in Medio Oriente erano un segno annunciatore del ritorno di Cristo. (33)
Ma, se quelle affermazioni testimoniavano una volta di più l'importanza decisiva della dimensione teologico- escatologica messianica nell'ideologia neoconservatrice, tutt'ora imperante ai vertici del potere americano, esse avrebbero assunto in seguito un'efficacia del tutto paradossale:
Proprio in quei mesi infatti si è delineata con chiarezza la sconfìtta della politica occidentale nel conflitto in Siria e, sulla sua scia, il rovesciamento o la crisi di tutte le inconfessabili alleanze americane ed europee nell'area, al punto che altri osservatori hanno sottolineato la totale inversione dei rapporti di forza in Medio Oriente insieme all'ennesima eterogenesi dei fini proprio mettendo tutto ciò in rapporto con quelle "profetiche" parole:
Sotto la maschera orribile, perché del tutto ipocrita, della "guerra al terrorismo" particolarmente in Siria, sembrano in realtà essersi scatenati compiutamente gli effetti dell'"accelerazione involontaria" degli eventi, il cui risultato costituisce il rovesciamento delle intenzioni iniziali, tanto di quelle dichiarate quanto di quelle implicite.
Difficile sottrarsi
all'impressione di aver osservato in tempo reale una esemplare
parabola dell'azione del katechon negativo e dei suoi effetti, e che
"l'acceleratore involontario" americano (con i suoi alleati) -
prigioniero tanto della sua ideologia messianica quanto dell'ottusa
volontà di potenza di quello che sempre più viene definito come "Deep
State" (35) - proseguirà nella sua irrazionale
opposizione al nuovo nomos della terra pur essendo andato incontro
ad una bruciante ed epocale sconfitta.
Dove e come cadrà - e a prezzo di quali catastrofi e sofferenze - è ora la sfida dell'epoca e al contempo il segno del progressivo e rapido stabilirsi del nuovo nomos della terra...
Referenze
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